Il rubino è in assoluto la gemma più nobile, quanto rara, esistente al mondo. Deve il suo nome al latino “Rubens” (rosso) ma anche alla lingua Sanscrita “ratnaraj”, “Re delle gemme”. Dal colore inconfondibile dovuto ad inclusioni di cromo e la cui tonalità va dal profondo “sangue di piccione” alle più lievi tonalità rosate, è stato sempre usato da Imperatori e Reali per arricchire scettri e corone. Rarissimo da trovare fin dall’antichità, si ha testimonianza in alcuni manoscritti indiani millenari di feste organizzate in onore delle scoperte di ogni esemplare, anche se, a distanza di secoli e con mezzi tecnologici di ultima generazione, si sono appurati alcuni errori di valutazione, tra cui i famosissimi “Rubino del Principe nero” e “Rubino del Timur”, di proprietà della Corona Britannica, solo ultimamente riconosciuti come Spinelli rossi. Il rubino viene valutato sostanzialmente per l’intensità del rosso e per la trasparenza. A onor del vero le inclusioni, in linea generale e salvo eccezioni, sono considerate quasi come un’identificazione dell’originale naturalità della gemma e, a differenza del diamante, non decretano in modo proporzionale il valore della pietra. È certo che più il rubino avrà una tonalità accesa e trasparente, più esso sarà valutato raro e qualitativamente superiore. Infine, per risaltarne bellezza e identità naturali, un esperto gioielliere consiglierà tagli esclusivi in base alla pietra (dalla “faccetta” per quelle più pure e brillanti, fino ad arrivare al “cabochon” per le pietre più opache e con incursioni più visibili) e montature di gioielli che non ne ostacolino il passaggio di luce.
